L’universo dei social network è in continua evoluzione. Quando sembra che non ci sia più nulla da inventare, appaiono nuove piattaforme che rimescolano le carte. Nella primavera dell’anno scorso, complici i vari lockdown e il rinato interesse per i podcast, è apparsa sulla scena Clubhouse, una piccola app che in breve tempo ha focalizzato l’attenzione.

Clubhouse è un social diverso dagli altri, non si basa sulla scrittura, come Facebook o Twitter, né sulle immagini, come Instagram, ma solo sulla voce. È qualcosa a metà strada tra un podcast e una radio. Un ambiente che ricorda le chat room degli albori di internet dove però i messaggi istantanei testuali sono sostituti dall’audio. Gli utenti possono creare delle “stanze” virtuali per discutere di vari argomenti ma ciò che avviene all’interno della stanza non viene registrato e quindi, una volta chiusa la sessione, tutto si perde.
La stanza viene controllata da uno o più moderatori che verificano e gestiscono i relatori. Gli altri partecipanti sono in genere dei semplici ascoltatori, entrati perché attratti dall’argomento di discussione o dai relatori, che però possono anche intervenire “alzando la mano” per chiedere di parlare.

Gli sviluppatori descrivono Clubhouse come “uno spazio per conversazioni ed espressioni autentiche, dove le persone possono divertirsi, imparare, stabilire connessioni significative e condividere esperienze ricche con altri in tutto il mondo”.

Al momento, la piattaforma è disponibile per i soli dispositivi iOS e un ulteriore livello di esclusività sembra essere tra gli aspetti che più hanno contribuito al successo: non basta scaricare l’app e creare un account, l’accesso a Clubhouse è solo su invito.

Pur con tutte queste limitazioni, l’app ha iniziato a fare paura ai giganti dei social che, da sempre, digeriscono male la possibilità che il loro dominio possa essere intaccato. Così Twitter sta già testando una funzionalità con caratteristiche analoghe, chiamata al momento Spaces, da integrare all’interno del proprio ecosistema. È ancora una funzione disponibile soltanto a un ristretto gruppo di beta tester ma, se venisse implementata, potrebbe facilmente sbaragliare Clubhouse considerando l’enorme divario tra le due piattaforme: Twitter ha circa 330 milioni di utenti attivi mensili mentre Clubhouse si attesta, al momento, su “soli” sei milioni di account globali.

È infine notizia di ieri, 10 febbraio, che anche Facebook starebbe sviluppando un analogo servizio di audio chat. Considerando l’aggressività con la quale Facebook si è sempre mossa in passato, basti pensare alle acquisizioni di Instagram, WhatsApp e Oculus quando ancora erano delle piccole start-up o alla spregiudicatezza con la quale copia funzioni concorrenti (storie di Instagram riprese da Snapchat, i reel “ispirati” a TikTok o le stanze di Messenger a Zoom), possiamo dare per certo che la sua irruzione in questo settore non passerà inosservata.

Se Clubhouse riuscirà a sopravvivere dipende quindi da quanto impiegherà a uscire dalla fase beta, aprirsi al pubblico senza più la necessità di invito e, soprattutto, rendere disponibile la versione per l’ambiente Android.